Feli - città

Feli - città

Autore: Eleonora Laffranchini

Feli - città

C’era una volta, e forse c’è ancora,
su di un’altura, un’immensa dimora.
Oltre la porta, tutta dorata,
vivevano insieme una strega e una fata.
Erano ricche e contente perché
erano entrambe figlie di un re.
 
E aggiungo anche, col vostro permesso,
che il loro babbo era lo stesso.
Il re infatti le aveva trovate
lungo il tragitto delle sue passeggiate.
Avvenne un giorno, andando a cavallo,
che udì, nel silenzio, il canto di un gallo.
Allora, subito, il destriero arrestò
e le due bimbe piangenti trovò.
Erano tanto dolci e carine,
da parer degne d’esser regine.
Così le condusse insieme a castello
ed a sua moglie fece il dono più bello.
La regina ringraziò il fato
che il re due figlie le avesse portato.
Quindi le bimbe, ogni giorno più belle,
impararono a vivere come sorelle.
Ma un dì avvenne che un nanetto
insinuò loro un brutto sospetto.
“Principesse, vi voglio avvisare
che insieme a lungo non potrete restare.
Non riuscirete ad essere amiche,
fra voi esiston discordie antiche.”
Le principesse risero assai
perché ai nani non credevano mai.
Così scacciarono quel sospetto
e mostraron la lingua al nanetto.
Ed egli, offeso e molto arrabbiato,
andò bofonchiando: “Io vi ho avvisato!”
Passarono gli anni ed un giorno lontano
avvenne un fatto davvero strano.
La giovane fata di nome Annabella,
disse alla strega, sua amata sorella.
“Sarà circa da un paio d’ore
che avverto qui dietro un gran pizzicore!”
“Sarà forse proprio un caso,
ma anch’io lo sento qui sul naso!”
le rispose la sorella,
ogni giorno meno bella.
“Non capisco, cara Alfreda,
cosa oggi ci succeda.
Saranno i cani di papà
che spargon pulci per la città!”
Non aveva ancor finito di parlare,
che verso l’alto si sentì trasportare.
Si voltò indietro, un po’ spaventata
e di due piccole ali si vide dotata.
“Come posso riuscire a volare,
io che sono una donna normale?”
E mentre per la stanza svolazzava,
sua sorella dall’alto guardava.
“Alfreda, per dirla tutta,
oggi mi sembri davvero brutta!
Hai un enorme porro sul naso,
ma non ci avevo mai fatto caso!
Sei gobba come una nonnina,
ma non lo eri questa mattina!
Hai il mento peloso e sporgente
ed in bocca hai solo un dente!”
“Non so che dire, cara Annabella,
sono comunque tua sorella!
E se dobbiamo essere leali,
anch’io non trovo granché le tue ali.
Ne ho viste certo di molto più belle,
sulle riviste delle modelle!
Ed ora scendi, poi si vedrà,
dobbiamo chieder consiglio a papà!”
Il re restò proprio di stucco
quando s’accorse che non c’era trucco.
Aveva due figlie così diverse
che la regina i sensi perse!
La strega e la fata, ormai rivelate,
passavan serene le loro giornate.
Alfreda bolliva giganti pozioni,
Annabella invece portava doni.
Se c’era qualcuno da ammaliare,
Alfreda correva gli intrugli a versare.
Se invece nasceva lì intorno un bambino,
Annabella i suoi doni portava al piccino.
Ed erano entrambe così indaffarate
che non si vedevan per molte giornate.
Ma il re un giorno volle loro parlare
e dai suoi servi le mandò a chiamare.
“Mie care figliole, il regno è in subbuglio;
dicon che Alfreda ha sparso un intruglio,
perché è una strega, ormai lo si sa,
e vuol distruggere la nostra città!”
“Mio caro babbo, non credete alla gente:
di streghe infatti non capisce niente!
Io amo voi e la mia città,
non potrei farvi del male, papà!”
“Non dubitavo, per questo l’ho detto;
non avevo su te alcun sospetto,
ma voci di popolo giurano che
Annabella nel regno parla male di te!”
Il re gli occhi neri sollevò
e su Annabella severi li fissò.
“Mio caro babbo, non credete alla gente:
pure di fate non capisce niente!
Loro voglion crederci avverse
sol perché siamo molto diverse!
Ma l’affetto che noi proviamo
non vede la razza cui apparteniamo
e per la vita, brutte o belle,
noi saremo sempre sorelle,
come sappiamo che, streghe o fate,
da voi saremo per sempre amate.” 
Il re allungò verso le figlie il braccio
e le strinse in un forte abbraccio.
Ma il cancelliere del grande regno
un giorno disse, senza ritegno:
“Sire, il popolo, oh se sapesse,
vuol che cacciate le due principesse.
La gente dice che non posson stare
due simili esseri qui a governare!
Loro appartengono a mondi lontani,
sono diverse dagli esseri umani!
Le principesse, da voi tanto amate,
ovunque nel regno son calunniate!”
Con questa spina fitta nel cuore
il re cercò di dir due parole:
“Sappian i sudditi che mai avverrà
che il re le sue figlie da qui scaccerà!
Streghe, umane, oppure fate
per me son figlie, non lo scordate!”
Ma da quel giorno perse il sorriso
e divenne assai cupo in viso,
tanto che Alfreda e la sorella
chieser se avesse una brutta novella.
Ma per non farle ancor preoccupare
la vera storia non volle svelare.
Con la voce rotta dal pianto,
le guardò e rispose soltanto:
“Non vi angustiate, succede, si sa,
di perdere a volte la felicità!”
Ma vedendo il sovrano turbato
le figlie decisero che andava aiutato.
Così si armaron di tanto coraggio
e pensaron di fare un viaggio,
pronte a passare per ogni città,
pur di portargli la felicità.
Per consolare la mamma regina
Alfreda le disse con dolce vocina:
“Noi gireremo al mondo intorno,
ma entro un anno sarem di ritorno.
Entrambe insieme qui torneremo
ed il babbo di nuovo felice faremo.”
Poi una a destra, e l’altra a sinistra,
si prepararono subito in pista!
Ma anche il tempo riesce a volare
ed un anno è veloce a passare.
Ormai mancava solo un giorno
alle sorelle per fare ritorno
e fra i sudditi, i più curiosi,
credevan tornassero con degli sposi.
Il re scrutò tutta notte le stelle
aspettando il ritorno delle sorelle
e quando fu l’alba, dalla torretta
vide avanzare una figlia diletta.
Era Annabella che faceva ritorno,
giungendo insieme alla luce del giorno.
Abbracciati il re e la regina,
chiese notizie della sorellina.
“Tua sorella non è ancora arrivata,
ma è solo all’inizio questa giornata!
E’ stato un viaggio faticoso,
ora ti serve un po’ di riposo”.
Erano ancora a parlare intenti,
quando s’udirono strani lamenti,
sembrò levarsi un vento forte
da scardinare persino le porte.
Tutti alzarono gli occhi al cielo
e vider Alfreda sul suo strano “destriero”.
Non le diede il tempo di atterrare
che Annabella la volle abbracciare.
“Cara Alfreda, eccoci qua!
Tu l’hai trovata la felicità?” 
La sorella la guardò in viso
e abbozzò un mezzo sorriso.
“Dolce sorella, son così stanca
che la parola per ora mi manca.
Alla domanda rispondi prima tu,
mentre la voce mi torna su.”
Allora la fata, con grande bravura,
iniziò a raccontare la propria avventura.
“Ho viaggiato in ogni posto,
terre, acque, steppe e bosco,
ho cercato dentro i mari
e veduto sguardi amari,
ho volato sopra la Terra
ed ho veduto anche la guerra,
ho visto il riso e a volte il pianto,
ho ascoltato il grido e il canto,
ho chiesto a sciocchi e pure a saggi,
che ho incontrato nei paraggi,
ma nessuno in verità
mi ha indicato la felicità.
Dunque una cosa ora mi è chiara:
se ne è rimasta, è proprio rara!
Ma non crediate che mi sia arresa:
purtroppo ho avuto una brutta sorpresa!”
La strega intanto ascoltava assorta
aspettando la fine della risposta.
Annabella riprese a parlare
e, con lo sguardo, il re andò a cercare:
“Mi spiace dirvi, caro papà,
che non esiste la felicità!”
Il re rimase molto perplesso,
e nei suoi occhi  s’accese un riflesso.
“Cara Annabella, allora in fondo,
per dirmi questo hai girato il mondo?”
Quindi Alfreda, ripreso fiato,
pensò che fosse il suo turno arrivato.
“Anch’io vi voglio raccontare
cosa ho trovato per monti e per mare.
Ho visto cosa significa fame
e il valore di un pezzo di pane,
ho visto tristi bimbi affamati
imbracciare il fucile come soldati,
e poi ho visto signore eleganti
provare vestiti e collier di diamanti
ma, caro babbo, nemmeno là
ho trovato tracce di felicità.
Così ho pensato “Se mai è esistita,
dev’esser proprio tutta esaurita!”
E non avendo più alcuna scusa,
m’incamminai, triste e delusa,
ma quando avevo ormai rinunciato,
un grande segreto mi fu svelato!
Mi trovavo a sorvolare
un luogo impervio, lontano dal mare.
Si vedeva percossa la terra
dalle orribili mani della guerra
e saliva a tratti dal basso
delle bombe l’orrendo chiasso!
Io che sono una strega curiosa
volli andare a cercare qualcosa:
chissà mai che proprio là
si fosse nascosta la felicità!”
Così la scopa verso il basso puntai,
decisa pure a cacciarmi nei guai.
Feci appena in tempo ad atterrare
che un bambino mi vidi avvicinare.
Io sono brutta e questo lo so,
ma lui sorrise e non si spaventò.
Poi mi disse: “Fammi volare!
Odio la guerra. Non voglio restare!”
Sorvolammo sulla scopa la città
e gli vidi negli occhi la felicità”
Dunque gli chiesi: “Ma allora dov’è?”
Lui mi rispose: “E’ qui in alto con te!”
Dunque babbo, una cosa ho capito
e ora quindi a voi tutti la dico:
non cerchiamola intorno perché
ognuno l’ha dentro di sé.
Quando infine la troviamo
nelle cose poi noi la mettiamo.
Ed io son certa: la felicità,
l’avevo lasciata proprio qua!
E’ il cuore che me lo dice:
finalmente ora sono felice!”
Il re accese un grande sorriso
che illuminò tutto il suo viso.
Poi perché restasse un segno,
cambiò nome al suo regno
e se qualcuno visitarlo vorrà
si metta in cerca di Feli-città.
Là, c’era una volta, e forse c’è ancora,
su di un’altura, un’immensa dimora.
Oltre la porta, tutta dorata,
vivono insieme una strega e una fata…        

Eleonora Laffranchini

L'autrice è disponibile per Incontri con l'Autore e Laboratori di animazione alla lettura
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